Puberta’ e cannibalismo nel film rivelazione della regista francese Julia Ducournau.
A scuola guida viene puntualmente insegnata la differenza dei cartelli segnaletici di stop e dare la precedenza. Partendo da questa legge della strada ho elaborato una chiave di lettura per questo film fenomenale poiché nella vita esistono dei limiti e dei punti di non ritorno.
Justine, adolescente e nuova iscritta al college di veterinaria, supera per la prima volta questo limite quando si trova costretta ad inghiottire un rene crudo di coniglio durante un rito d’iniziazione delle matricole.
La giovane ragazza, vegetariana per volontà della sua famiglia, in seguito a quell’atto per lei contro-natura iniziera’ a manifestare una serie di reazioni allergiche della pelle, tremori, comportamenti aggressivi e voglie improvvise che la condurranno “morso dopo morso” al cannibalismo, del quale la sorella Alexia e’ già praticante (come lo è stata anche la madre).
Il primo episodio cannibalico si verifica proprio in seguito ad un momento di complicita‘ tra le due sorelle: mentre Alexia e’ impegnata nell’impresa di depilazione del pube della sorellina si taglia un dito, il dito rotola e quando la ragazza cade svenuta sul pavimento, Justine lo raccoglie, quindi si accuccia per divorarlo con avida ingordigia.
La storia di justin è la storia di una ragazza che supera un punto di non ritorno, simbolo di un qualsiasi eccesso.
La bravura della regista è stata proprio quella di presentare una storia sconvolgente e forte per farci riflettere su problematiche sociali piu’ comunemente diffuse come il bullismo, l’anoressia (Justine vomita intere ciocche di capelli ingoiati), il senso di inadeguatezza di una giovane tra gli altri (dottoressa: ” tu come ti vedi?” Justine: “come gli altri“) e crisi di astinenza (le gambe che scalciano, il corpo che si contorce in una virtuosa ripresa sotto le lenzuola richiamano alla mente la Christiane di Uli Edel anche per somiglianza nell’esile corporatura).
La fotografia alterna dei toni caldi inziali gialli, arancioni e ocra per passare da colori forti e acidi e pulsanti in sintonia con le crescenti pulsioni della ragazza: fucsia, rossi, blu saturi alternati ai verdi freddi delle mense e degli ambienti scolastici.
In tutto il film non manca naturalmente il rosso sangue (finto, acceso e spesso simbolico) che cola a secchiellate e macchia indelebilmente le matricole omaggiando il depalmiano Carrie lo sguardo di Satana (1976).
Ma il messaggio piu’ significativo della pellicola arriva improvviso, inaspettato da un personaggio secodario, un camionista che in una stazione di servizio si avvicina in modo equivoco a Justine ed al suo amico Adrien dicendo: “i maiali sono simili all’essere umano… e’ bello studiare, siete fortunati” quindi si allontana.
Una frase breve che ci porta a riflettere sul dualismo del quale l’uomo è da sempre esemplare manifestazione : istinto-corpo (maiale) e ragione-spirito (studio) : forze antitetiche eternamente in lotta, il cui equilibrio richiede forse uno sforzo impossibile.
Justine cede all’istinto, nel suo dna qualcosa è scritto e comanda, qualcosa le chiede nutrirsi di carne umana; ecco che il semplice istinto si trasforma in un atto di volonta’ che dovra’ rinnovarsi nel tempo.
Molto presente anche il tema della sessualità, del suo nascere, crescere ed esplodere in un corpo in mutamento come quello di una ragazza apparentemente timida ed appartata dalla mondanità che si troverà ad assaggiare il piacere per la prima volta.
La regista francese ha saputo affrontare e sottintendere tematiche profonde filosofiche ed esistenziali ,dosando molto bene gli elementi splatter necessari ad un impatto visivo forte direi shoccante ma necessario e coerente con il soggetto trattato.
Con questo racconto la Ducournau re-inventa il cannibal-movie poichè lo estirpa dalle minacciose foreste amazzoniche e lo impianta nella vita quotidiana con un’operazione veramente coraggiosa ed originale, forse mai vista prima… anche se questa ragazzina innocente in preda ad impulsi perversi mi ricorda tanto il Martin di Romero.