Il cloud consente di archiviare e accedere a dati, programmi e risorse informatiche attraverso la rete offrendo livelli di scalabilità e flessibilità, impensabili ospitando dati e applicazioni su server locali o dispositivi personali: in altre parole, non è solo un sistema di archiviazione digitale, bensì un sistema di erogazione di servizi ormai indispensabile per moltissime aziende che operano nei più diversi settori.
Ciò che, tuttavia, crea sempre più spesso criticità è il costo o, meglio, la poca trasparenza della tariffazione del cloud. E quando non c’è chiarezza nel billing, le brutte sorprese sono dietro l’angolo.
L’impennata (ingiustificata?) dei costi del cloud
La difficoltà, da parte delle aziende, nel calcolare quanto costa veramente il servizio è un fenomeno che negli ultimi anni si è verificato sempre più spesso, e non soltanto per l’ampia variabilità intrinsecamente legata al cloud.
È chiaro che i costi dipendano da un numero significativo di varianti, a partire dalle funzionalità richieste e dal provider prescelto, nonché dai piani tariffari e dalla tipologia di pagamento, che sono spesso personalizzati proprio per la specificità dei singoli casi. Il problema notificato da molte imprese riguarda, in particolare, una generalizzata impennata dei costi, e imputata anche a provider affidabili e ampiamente accreditati, inclusi i big player di settore (Microsoft Azure, Amazon AWS, Google Cloud).
Il fatto che il mercato sia dominato da poche grandi aziende, se da una parte rende il range dei prezzi piuttosto omogeneo, dall’altra fa sì che il controllo sia pressoché nullo da parte dell’utenza. Va detto che le criticità non riguardano tanto il preventivo iniziale, quanto l’evoluzione dei costi nell’arco del tempo, che appare tutt’altro che chiara e può presentare picchi di spesa imprevisti (e non prevedibili, secondo quanto notificano le aziende che hanno dovuto farvi fronte).
La causa di forza maggiore che ha aperto il varco all’impennata dei prezzi è stata l’emergenza pandemica, ma adesso la situazione dovrebbe essersi normalizzata. Invece lo scenario continua a essere ambiguo e problematico.
Come risolvere la difficoltà di billing e fare chiarezza sui costi?
Tenuto conto dello stato attuale delle cose, è palese che le aziende debbano prestare la massima attenzione nell’effettuare la stima dei costi del cloud. Il preventivo di spesa iniziale deve essere parametrato a ogni funzionalità richiesta e all’utilizzo effettivo che ne verrà fatto, dalla larghezza di banda necessaria al numero dei servizi richiesti e alle loro specifiche caratteristiche.
In particolare, bisogna tenere bene gli occhi aperti sui possibili costi aggiuntivi, legati in genere alla migrazione dei propri dati sul cloud, ai servizi di aggiornamento (non necessariamente inclusi in quelli della manutenzione ordinaria) e a tutte le eventuali necessità correlate, dall’implementazione dei sistemi di sicurezza alla consulenza e all’intervento di tecnici specializzati.
Ma questi accorgimenti di base non sono sufficienti se non vengono affiancati da un monitoraggio costante dei costi nel tempo, da effettuare analizzando e comparando di volta in volta i servizi del cloud di cui si è effettivamente fatto uso e le fatturazioni corrispondenti: in caso di disallineamento, occorre infatti contattare immediatamente il provider.
Sommata al management e allo svolgimento dei compiti di ordinaria amministrazione, questa operazione di controllo capillare può rappresentare un onere di un certo rilievo per le aziende. Per non renderlo ulteriormente gravoso, è bene appurare preventivamente la qualità del servizio di customer care del provider: se non risponde in modo chiaro e puntuale, meglio rivolgersi ad altri.