Per quanto ora sia relegato per lo più come film di natale, Dragonheart è uno dei più toccanti e ben girati film fantastici degli anni ’90 e vanta un cast davvero ottimo con, due nomi su tutti, Dennis Quaid e Sean Connery.
Hollywood ci aveva già abituato all’idea del drago buono, con “Elliot, il drago invisibile” e Fuchur de “La Storia Infinita” poi, ma nessun film prima di “Dragonheart” ci aveva colpito al cuore con tanta intensità! La tecnologia certo ci viene in aiuto: Elliot è un cartone animato, Fuchur un animatrone, Draco, invece, è un riuscitissimo esperimento di computer grafica. La grande espressività di Draco non può essere resa da altro che da un attore in carne ed ossa, e infatti la computer grafica permise a Sean Connery di dare al drago le sue espressioni, rendendo Draco un personaggio terribilmente reale, forse il miglior drago nella storia del cinema (sì, Smaug, anche meglio di te).
Nel titolo del film si nasconde il succo della storia: ad un drago, Draco, appunto, viene chiesto di donare metà del suo cuore ad un giovane principe mortalmente ferito durante una battaglia, desiderio al quale il drago acconsente. Tuttavia il principe si rivela malvagio e spietato.
Bowen, il suo maestro, pensa che la malvagità del principe sia causata dal cuore del drago e giura di vendicarsi su questo diventando uno sterminatore di draghi.
Anni dopo, Bowen rincontrerà Draco, senza riconoscerlo, e tra i due nascerà una forte amicizia. L’incontro con Kara, una giovane contadina, figlia di un uomo che cercò di guidare una ribellione contro il principe Einon, ora re, lo costringerà una volta e per tutte di fare i conti col proprio passato e con i suoi errori. Alla fine anche Bowen si unirà ai rivoltosi per sconfiggere Einon, ma per vincere ed uccidere il re malvagio ci sarà da pagare un prezzo altissimo: la morte di Draco, necessaria affinché anche il cuore di Einon smetta di battere.
La morte di Draco è certamente il momento più intenso e commovente del film e accompagna lo spettatore verso un finale agrodolce, in cui lo spirito del drago prende posto tra le stelle del cielo, sulle note finali della colonna sonora di Randy Edelman, destinata a diventare una delle musiche più iconiche nella storia del cinema.
Pur parlando di draghi, antichi ordini cavallereschi e re Artù, il film, complice un’ambientazione tra il medioevo storico e il fantasy, resta plausibile e coinvolgente, con personaggi equilibrati, tanto tra gli attori quanto tra i comprimari, che tengono la scena abbastanza bene e a lungo da essere ricordati dal telespettatore, che non cade mai nel fastidioso pensiero del “Aspetta, ma quello chi è?”. Certo, alcuni di loro sono un pò troppo stereotipati, come ad esempio Fratello Gilbert, macchietta dell’uomo di lettere imbranato e privo di senso pratico, che poi si riscatta rivelando un’incredibile destrezza nel tiro con l’arco, e Kara è probabilmente troppo orgogliosa ed emancipata per essere del tutto credibile nell’ambientazione, ma sono sbavature di poco conto, ammissibili in un film fantastico rivolto per lo più ai ragazzi.
In sintesi, una visione consigliatissima, per ridere, per piangere, per emozionarsi, anche se non è ancora Natale.